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Categoria: Cultura

MONTECATINI TERME - Nell’era dei fotomontaggi, delle distorsioni e delle manipolazioni digitali, l’artista palestinese Nidaa Badwan, in mostra al MoCA di Montecatini Terme fino al 13 marzo, ritrova la funzione originaria della fotografia, quella di documentare un processo al quale il pubblico non può assistere direttamente. È lo stesso procedimento attuato dai restauratori quando documentano le diverse fasi di un restauro, che si conclude con la riscoperta della bellezza perduta.
Nei suoi incisivi autoscatti, Nidaa Badwan ritrova se stessa, libera dai condizionamenti politici e culturali imposti dal regime di Hamas nella striscia di Gaza. È qui che Nidaa conduce la sua esistenza – “vivere” non è il termine appropriato – oppressa dal regime islamico e dalle minacce di Israele, che hanno creato un clima di terrore, di odio, di angoscia che coinvolge non solo la sfera sociale, ma anche l’intimità di ogni individuo. È in questo clima che l’artista ventottenne viene fermata a Gaza dalle milizie di Hamas, le quali, dopo averla percossa, le intimano di indossare abiti consoni alla tradizione islamica e di non vagare in compagnia di uomini. È il mese di novembre 2013. In segno di protesta, l’artista si reclude volontariamente, per quattordici mesi, nello spazio angusto della sua camera, che diventa il suo microcosmo, in cui poter viaggiare liberamente con la fantasia. Lo spazio, concepito come un foglio bianco, si colora e si popola di ready-made, oggetti comuni che, nella trasfigurazione artistica, perdono la funzione pratica e assumono un valore puramente estetico: tele, coperte, giornali, barattoli di vernice e una chitarra rotta.
Il clima di intimità che si respira nei suoi scatti richiama la pittura olandese, da Vermeer fino a Van Gogh. Anche il sapiente uso della luce che filtra da una lampada o da una finestra, creando sottili contrasti chiaroscurali, rimanda alla pittura olandese, in particolare ai caravaggeschi di Utrecht come Van Baburen e Ter Brugghen.
Ma l’opera di Nidaa va oltre la fase esecutiva e si completa sul web, dove l’artista si presenta e pubblica tre fotografie emblematiche, per comunicare al mondo intero il proprio disagio e, soprattutto, la propria utopia di pace.
Scoperta da Anthony Bruno, direttore dell’Istituto Francese di Gaza, la Badwan è assurta agli onori delle cronache di tutto il mondo, dal New York Times al Corriere della Sera. A settembre 2014 è finalmente uscita da Gaza grazie ad Antonella Lombardo, della Fondazione Giovanni Paolo II, e di padre Ibrahim Faltas. Antonella, che operava a Betlemme in un campus dedicato ai bambini, ha chiesto l’intervento di padre Ibrahim per consentire a Nidaa di recarsi a Montecatini, dove era invitata dall’assessore alla Cultura, Bruno Ialuna, ad esporre le sue opere. Padre Ibrahim, che si è conquistato la stima delle autorità israeliane e palestinesi per la sua proficua attività di mediazione nelle fasi più dure del conflitto, è riuscito nell’impresa, procurando a Nidaa il visto per uscire dalla Striscia di Gaza. La mostra al MoCA assume, dunque, un significato profondo, che va oltre la mera esposizione delle opere e coinvolge il diritto dell’uomo alla libertà e alla giustizia.

Marco di Mauro


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