Mesenotizie la voce delle province

Teniamo molto al senso, alla bellezza e al valore delle immagini. Per questo da tre anni l’Associazione Teatrale Pistoiese ha portato avanti il progetto “manifesto d’autore”, chiedendo a un artista di rilievo di realizzare l’immagine della Stagione del Teatro Manzoni. Il primo è stato Roberto Innocenti, probabilmente l’illustratore italiano più famoso nel mondo e il secondo Franco Matticchio (di lui recentemente Art Spiegelman, autore di Maus, ha detto: «serio e giocoso, surreale e filosofico, amo il modo in cui Matticchio pensa e disegna»). Quest’anno abbiamo pensato di coinvolgere Riccardo Mannelli, per due motivi. Il primo perché è tra i pittori italiani più prestigiosi in assoluto (tra l’altro vive un momento di grande riconoscimento anche negli Stati Uniti), e il secondo perché è nato a Pistoia. Per la stagione che ci traghetta nell’anno di Pistoia Capitale della Cultura, ci è sembrato bello e opportuno coinvolgere un pistoiese di grande talento.
La figura disegnata da Mannelli è stata pensata appositamente per il manifesto del Teatro Manzoni. E basta conoscere anche superficialmente la sua produzione esposta nelle gallerie per rendersi conto dell’attenzione e della premura che ha riservato a un’immagine pensata per essere vista anche in strada. Abbiamo incontrato e parlato più volte con Mannelli, spiegando bene il contesto e le caratteristiche della Stagione del Teatro Manzoni, che quest’anno è contraddistinta da grandi opere classiche (tra l’altro anche con forti figure femminili, da “Le Baccanti” di Euripide a “Fedra” di Seneca).
Siamo molto contenti dell’opera che ha realizzato, perché ci appare come una “musa” del teatro di oggi, coniugando classicità e interrogativi contemporanei. È una donna che “accoglie” lo spettatore e offre in dono il “pane”, il nutrimento essenziale, di vita. Sullo sfondo, in trasparenza, l’antico stile della facciata del Teatro Manzoni.
Tante sono le suggestioni classiche: una raffinata nudità, la veste, il vento, l’irrealistica posizione, il gesto del dono, il pane, la natura immediatamente simbolica o addirittura allegorica dell’immagine…
Lo stile di Mannelli sa però interpretare anche le domande e le inquietudini dei nostri tempi, ecco allora che la donna è incredibilmente “vera”, con pregi e difetti. È una donna matura, che potrebbe attirare o respingere, ma che guarda dritto negli occhi lo spettatore, con sicurezza e senza vergogna. La rappresentazione del corpo nella storia dell’arte ha avuto ciclicamente momenti di aurea astrazione e periodi di più attento realismo. È evidente che Mannelli guardi a quel filone che, andando all’indietro, ci porta dritti dritti a Caravaggio, che scandalizzava perché dipingeva la Madonna come una popolana.
Nell’era dei ritocchi digitali, di corpi irreali e patinati, di “bamboline” a tutti i costi, l’immagine di Mannelli va chiaramente controcorrente e provoca mettendo al centro una questione di “autenticità” legata al corpo, e in fin dei conti alla vita stessa. E di cosa si occupa il teatro, con i suoi attori e le sue attrici, come arte dal vivo per eccellenza, se non di porre continuamente una domanda sul corpo, sulla bellezza, sulla vita? Tra mercificazione del corpo e “burkini” quest’immagine pone una domanda vera e seria al proprio spettatore, così come dovrebbe fare il miglior teatro. Crediamo sia un segno di libertà e di diversità. Ed è per questo che l’immagine – piaccia o meno – non lascia indifferenti.
“La passione sfama” è il titolo dell’opera, scelto da Mannelli, che abbiamo voluto inserire perché metteva l’accento sulla questione del “nutrimento”, su ciò che riteniamo essenziale per vivere: il pane, l’eros e… il teatro. D’altronde non è una novità che il teatro – l’arte che per eccellenza si mescola con la vita – sia sempre associato a una passione forte (sia per chi lo fa, sia per chi lo vede).
Francamente non capiamo da dove possa derivare l’accostamento “sesso e merce” o “sesso e guadagno” e tanto meno l’idea che si tratti di una prostituta. Anche i riferimenti che si fanno rispetto all’utilizzo “commerciale” del corpo ci sono francamente molto distanti. Come si può pensare che il manifesto di una stagione teatrale sia direttamente finalizzato alla vendita dei biglietti? E che il nostro manifesto sia paragonabile a una qualunque pubblicità di automobili che utilizza in modo strumentale il corpo femminile? E soprattutto che il nostro pubblico venga più numeroso a teatro perché lo scambia per un night? Questo non accadeva nemmeno nell’Ottocento, quando per la prima volta entrò in uso il “manifesto” per gli spettacoli teatrali (come dimenticare Toulouse Lautrec…). È al contrario evidente che l’immagine della stagione è la proposta di una poetica, di una visione, di un progetto culturale. E che comprare un biglietto non è l’acquisto di una merce qualsiasi, ma è partecipare a un rito civile emozionante ed entrare in un luogo fondamentale della vita cittadina. Ed è proprio il manifesto una possibile soglia d’ingresso.


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